Sunday, December 10, 2006

Gambella

La sera del mio primo giorno a Dadaab tremavo come una foglia in mezzo al deserto (e non è una metafora, il campo è davvero in mezzo al deserto e ci fa un caldo fottuto) con la febbre alta.

Il secondo giorno c’è stata la miracolosa guarigione (se qualcuno mi ha pensato in questi giorni, lo ringrazio) e dunque me ne sono potuta andare un po’ più liberamente in giro senza dover far scomodare la scorta speciale per riportarmi al campo-base.

Così mi sono data a fare le interviste per le quali ero venuta, ed ho passato la giornata in compagnia dei simpatici giovani del campo (d’altronde io scrivo una cosa che si intitola “Youth in forced migration”), per capire un po’ che cosa gli passa per la testa, se è vero che la vita del campo crea solo disadattati e gente buona solo per essere reclutata nelle milizie armate del proprio paese di origine (in questo caso le milizie delle Corti Islamiche).

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Vi racconto un’altra storia.

Una delle cose che mi ha sorpreso appena arrivata a Dadaab è che –fuori dal compound di CARE- in mezzo al deserto ed agli sterpi- c’è un fichissimo campo da pallacanestro in cemento, con i canestri regolamentari e tutto.

Qualche anno fa nel campo di Dadaab arrivarono una quarantina di ragazzi dall’Etiopia. Tutti di etnia Gambella. Per chi non lo sapesse (e mi sa che siete in molti) i Gambella sono una popolazione nomade e guerriera che vive nelle regioni meridionali dell’Etiopia, il cui tratto distintivo –specie per gli uomini- è di essere in genere alti attorno ai due metri, grossi, nerissimi e piuttosto attaccabrighe.

Il maggiore problema della vita nei campi se non sei vecchio o malato ma giovane ed irrequieto è che non c’è niente da fare. Nessun posto dove andare che non sia il campo stesso, nessun lavoro da fare, e sì, puoi andare a scuola, ma se sei un sedicenne Gambella, completamente analfabeta ma alto un metro e novanta, di certo non hai nessuna intenzione di andarti a sedere in prima elementare con i bambini di sei anni.

Come chi è cresciuto nei paesi di provincia dell’agro calabro (ma anche delle maremma toscana) sa benissimo, in genere la risposta adolescenziale alla “sana” ma noiosissima vita in campagna è più o meno riassumibile in “droga&alcolismo”.

I Gambella a Dadaab non sono stati da meno.

Già che c’erano, visto che erano anche i più grossi e i più cattivi di tutti, si erano anche messi a fare scorrerie per gli altri campi, fino a controllare parte del traffico di khat che alimenta quasi completamente l’economia locale.

A quel tempo lavorava a CARE un ragazzo danese (mmm della nazionalità non sono troppo sicura, cmq nordica) che, oltre ad essere evidentemente un bravo cooperante, era anche l’unica altra persona in tutto il campo alta quanto i Gambella. Prima di intraprendere la strada verso il nord del kenya, faceva il giocatore di pallacanestro.

Così un giorno gli è venuto in mente di insegnare la pallacanestro ai Gambella. Che si sono ovviamente rivelati “nati” per lo sport, e si sono appassionati così tanto a questa nuova cosa, e ne hanno tratto così tanto orgoglio personale, che hanno formato una vera e propria squadra.Si sono messi ad organizzare tornei. Il preferito è “bianchi contro neri” in cui loro sfidano il personale delle ONG e puntualmente “li fanno neri”.

Adesso hanno le divise, i palloni e si allenano un sacco di volte alla settimana.
E sono fortissimi.
Tra l’altro, già che c’erano, alcuni di loro sono persino tornati a scuola.
(se non altro per imparare a contare i punti).
Ed hanno smesso di passare i loro pomeriggi a masticare il khat.
Ed un giorno magari diventano pure famosi.

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