Sunday, December 24, 2006

Ventiquattro


Devo dire che la vigilia di Natale all’equatore non fa esattamente lo stesso effetto che a casa.
Fuori c’è il sole a picco e le palme e l’unica concessione al Natale è un tizio tutto nero vestito da Babbo Natale che si aggira per il supermercato e proferisce degli “Oh Oh” da far accapponare la pelle.

Nonostante la deprecabile assenza di consona ambientazione, noi ci apprestiamo comunque a fare la cena di Natale.
Che devo dire si preannuncia divertente, visto che a tavola siamo 12 di 12 diverse nazionalità, e l’accordo è che ciascuno fa un piatto del suo paese.

Il menù che ne risulta:

- antipasti svedesi

- tacchino canadese

contorni honduregni
qualcosa di inglese ma non ho idea di cosa
insalata tedesca
apple pie america

tiramisù (sull’opportunità o meno di fare un tiramisù ai tropici conoscete già la mia opinione, ma vabbè mica potevo fare la guastafeste.)

Più piatti a sorpresa per gli altri paesi.

Un po’ mi manca il cocktail di scampi e la spigola delle zie (a proposito, mi aspetto almeno un commento con il menù della cena ;) ) ma per quest’anno sopravviverò.

Poi domani alle sei del mattino monto su un pullman e inizio la lunga tradotta verso la Tanzania e Zanzibar (dove non credo che arriverò prima del 26), che un po’ di mare proprio me lo sono meritato.

BUON NATALE.

Friday, December 22, 2006

Libri vacanzieri

Ecco, adesso non avete scuse: siete in vacanza e potete leggere.

I miei consigli:

Questo me l’ha dato da leggere il mio capo quando gli ho detto che avrei mandato l’application per il DPKO (UN Department for PeaceKeeping Operation) secondo me con l’intento di dissuadermi...

Io integerrima continuo per la mia strada... il libro è però una lettura abbastanza piacevole e che soprattutto dà l’idea degli indescrivibili disastri che alcune delle missioni di pace ONU sono stati (somalia, rwanda, liberia etc).

Anche detto: quello che vorrei DAVVERO fare da grande.

Lei scrive meravigliosamente di cose complicate e affascinanti di cui nessuno parla. Lette le prime venti pagine, l’unico desiderio è di prendere il primo aereo per Asmara, la città sopra le nuvole...

L’ultimo è un consiglio speciale per la mia amica Adele, che sono sicura impazzirà per questo e non ne potrà più fare a meno:

Barnes, W
WHERE THE LION ROARS: An 1890 African Colonial Cookery Book
One of Africa's first English-language cookery books, newly released over a century after its first publication. As well as offering over 500 recipes for southern African delicacies (including sticky, ginger-flavoured
melon preserve; Malay-inspired aromatic pickled fish, and spicy soetkoek biscuits) Mrs Barnes also provided her readers with instructions on making a traditional African polished-cow-dung floor; how to treat snake-bite and, the best method for discouraging mosquitoes. A fascinating book, illustrating the process that early British settlers underwent as they adapted to life in an unfamiliar environment on the other side of the world.

Thursday, December 21, 2006

Erode. Acholibur IDPs camp

Mio padre mi chiama "Erode", perchè di solito non mi piacciono i bambini e tento sempre di tenerli il più lontano possibile.. (ad onor del vero, ci tengo a precisare che non sono tanto i bambini a darmi fastidio, quanto i genitori -come catergoria intrinsicamente rompicoglioni- a farmi venire le bolle).

Comunque, persino Erode si è commosso.
E c'è da dire che -in fondo- loro sono pure quelli che soffrono di meno, e si limitano a giocare nudi in mezzo alla spazzatura come farebbero tutti gli altri bimbi...










Sunday, December 17, 2006

natale

Io lo so che voi farete della beneficenza, questo Natale.
Mi permetto dunque di darvi dei consigli.
Anzi, un consiglio solo, che è questo: andate a visitare questo sito www.kiva.org

Ci troverete una lista di micro-progetti imprenditoriali che cercano un prestito.
Ci trovate Silvia, Joyce, Eric e moltissimi altri da quasi tutte le parti del mondo, che cercano uno sponsor per aprire o espandere la loro attività.
Tramite il sito, molte persone possono contribuire a raccogliere la somma che gli serve, donando 20-25 dollari alla volta.
20 dollari sono niente (e su, il cambio in euro li fa diventare proprio due lire) per le vostre tasche, ma una piccola fortuna se prestati ad una sarta in Equador, o a una parrucchiera in Togo.

Si chiama microcredito.
La persona che lo ha inventato, più di vent'anni fa, si chiama Mohammad Yunus ed ha vinto quest'anno il Nobel per la Pace.
Ed è uno dei miei idoli.
Perchè funziona, e ci scommetto di mio che tutti i vostri prestiti vi saranno restituiti.

Friday, December 15, 2006

sciopero

Niente più commenti ai miei interessantissimi post?
e allora io SCIOPERO.
e non vi racconto più niente fino a che qualcuno non si fa vivo.
che sennò mi sembra che parlo al MURO.
Ecco.

Tuesday, December 12, 2006

facce


Dopo quasi una settimana dal mio ritorno, sono le facce della gente che non riesco proprio a dimenticare...












Sunday, December 10, 2006

Gambella

La sera del mio primo giorno a Dadaab tremavo come una foglia in mezzo al deserto (e non è una metafora, il campo è davvero in mezzo al deserto e ci fa un caldo fottuto) con la febbre alta.

Il secondo giorno c’è stata la miracolosa guarigione (se qualcuno mi ha pensato in questi giorni, lo ringrazio) e dunque me ne sono potuta andare un po’ più liberamente in giro senza dover far scomodare la scorta speciale per riportarmi al campo-base.

Così mi sono data a fare le interviste per le quali ero venuta, ed ho passato la giornata in compagnia dei simpatici giovani del campo (d’altronde io scrivo una cosa che si intitola “Youth in forced migration”), per capire un po’ che cosa gli passa per la testa, se è vero che la vita del campo crea solo disadattati e gente buona solo per essere reclutata nelle milizie armate del proprio paese di origine (in questo caso le milizie delle Corti Islamiche).

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Vi racconto un’altra storia.

Una delle cose che mi ha sorpreso appena arrivata a Dadaab è che –fuori dal compound di CARE- in mezzo al deserto ed agli sterpi- c’è un fichissimo campo da pallacanestro in cemento, con i canestri regolamentari e tutto.

Qualche anno fa nel campo di Dadaab arrivarono una quarantina di ragazzi dall’Etiopia. Tutti di etnia Gambella. Per chi non lo sapesse (e mi sa che siete in molti) i Gambella sono una popolazione nomade e guerriera che vive nelle regioni meridionali dell’Etiopia, il cui tratto distintivo –specie per gli uomini- è di essere in genere alti attorno ai due metri, grossi, nerissimi e piuttosto attaccabrighe.

Il maggiore problema della vita nei campi se non sei vecchio o malato ma giovane ed irrequieto è che non c’è niente da fare. Nessun posto dove andare che non sia il campo stesso, nessun lavoro da fare, e sì, puoi andare a scuola, ma se sei un sedicenne Gambella, completamente analfabeta ma alto un metro e novanta, di certo non hai nessuna intenzione di andarti a sedere in prima elementare con i bambini di sei anni.

Come chi è cresciuto nei paesi di provincia dell’agro calabro (ma anche delle maremma toscana) sa benissimo, in genere la risposta adolescenziale alla “sana” ma noiosissima vita in campagna è più o meno riassumibile in “droga&alcolismo”.

I Gambella a Dadaab non sono stati da meno.

Già che c’erano, visto che erano anche i più grossi e i più cattivi di tutti, si erano anche messi a fare scorrerie per gli altri campi, fino a controllare parte del traffico di khat che alimenta quasi completamente l’economia locale.

A quel tempo lavorava a CARE un ragazzo danese (mmm della nazionalità non sono troppo sicura, cmq nordica) che, oltre ad essere evidentemente un bravo cooperante, era anche l’unica altra persona in tutto il campo alta quanto i Gambella. Prima di intraprendere la strada verso il nord del kenya, faceva il giocatore di pallacanestro.

Così un giorno gli è venuto in mente di insegnare la pallacanestro ai Gambella. Che si sono ovviamente rivelati “nati” per lo sport, e si sono appassionati così tanto a questa nuova cosa, e ne hanno tratto così tanto orgoglio personale, che hanno formato una vera e propria squadra.Si sono messi ad organizzare tornei. Il preferito è “bianchi contro neri” in cui loro sfidano il personale delle ONG e puntualmente “li fanno neri”.

Adesso hanno le divise, i palloni e si allenano un sacco di volte alla settimana.
E sono fortissimi.
Tra l’altro, già che c’erano, alcuni di loro sono persino tornati a scuola.
(se non altro per imparare a contare i punti).
Ed hanno smesso di passare i loro pomeriggi a masticare il khat.
Ed un giorno magari diventano pure famosi.

Thursday, December 07, 2006

Giorno Primo 27-11-06

Il mio avventuroso viaggio verso il campo di rifugiati somali di Dadaab comincia alle tre e mezza del mattino con un’infezione intestinale di quelle che solo all’equatore credo, che mi tiene abbracciata alla tazza del cesso fino verso le cinque, ora in cui mi faccio forza e intrepida prendo il taxi verso l’aereoporto.La paura del mio primo volo su un aereo da 11 posti (molto piccolo, in verità, ma mica poi tanto scomodo) passa dunque assolutamente in secondo piano rispetto al fatto di mantenermi in vita tentando di bere acqua e zucchero.Meno male che l’arrivo è super organizzato, e ci sono già le macchine ed i ragazzi dell’UNHCR che ci sono venuti a prendere ed io posso con nonchalance fare finta di essere ancora in me, quando invece di quella mattina ho solo vaghi ricordi.

Dadaab non è un campo solo, ma è fatto di tre campi ad una certa distanza l’uno dall’altro: Ifo, Hagadera e Daghaley. In tutto ci vivono circa 160mila persone. Tipo una cittadina emiliana, per intenderci.

La maggior parte vive in tende e capanne come queste qui sotto, ma molti altri si sono costruiti delle specie di casupole con un po’ di mattoni e le lamiere come tetti.

Ora dirò una cosa impopolare ed anche antintuitiva, soprattutto se date un’occhiata alle foto: non se la passano malissimo. Nel senso: mangiano, e non ci sono epidemie (almeno non tanto spesso) e qualcuno va anche a scuola, anzi, a scuola ci vanno in molti, forse molti di più che in altre parti rurali del Kenya e –per certo- più di quanti ne abbiano l’opportunità in Somalia.Certo non è per niente una vita invidiabile, soprattutto se in più ci si mette la cattiva sorte, e ci si ammala, o si nasce malati, o si è vecchi o non si ha nessuno che si prenda cura di noi.

Vi racconto una storia.

Carmela (sì, Carmela, perchè dopotutto, anche se facciamo di tutto per non ricordarcelo, la Somalia è stata una colonia italiana per quasi 50 anni ed ancora qualcuno ha un nome italiano) ha 45 anni e vive ad Hagadera.Vive lì dal 1992, da quando è scappata da Mogadiscio a causa della guerra civile. Il marito è morto e lei è rimasta sola a vivere con due figli. Vivere da soli a Dadaab non è affatto facile. Ci sono moltissime cose da fare e a cui pensare alle quali una persona sola non riesce a stare dietro. Innanzitutto ci sono le distribuzioni. Ce ne sono di vario genere ed in luoghi e momenti diversi. C’è la distribuzione quotidiana (o quasi) delle razioni del World Food Programme.

Poi ci sono le distribuzioni speciali: mentre io ero lì l’oggetto del desiderio del momento erano i teli di plastica per coprire le capanne dalle pioggie torrenziali (eh, voi ci scherzate, col climate change, ma lì si è davvero allagato il deserto) e però per averne uno bisognava passare in fila quasi tutta una mattinata.

Insomma, non è facile fare tutte le file, e poi andare a prendere la legna per il fuoco e l’acqua per cuocere etc etc se si è da soli.

Incontro Carmela perchè è lei a chiedermi “un’intervista”. Le persone che vivono nei campi sono piuttosto abituate ai giornalisti, ed hanno ormai imparato ad usarli a loro vantaggio.Carmela ha una figlia di circa 12 anni, che si chiama Esterline e che è completamente paralizzata a causa della polio contratta quando era piccolissima. Esterline non si può muovere, e Carmela non può rimanere tutto il giorno a casa a prendersene cura, ed in più non le può dare le cure e l’assistenza (o anche la riabilitazione) di cui avrebbe bisogno.

Questa storia ha un lieto fine: Carmela mi racconta del giorno che ha letto il suo nome nella bacheca in cui l’UNHCR affigge i nomi di quelli che potranno usufruire delle procedure di asilo ed inserimento in un altro paese.

Mi racconta tutte queste cose perchè spera che così i tempi per ottenere tutti i permessi si facciano più brevi.

Poi mi dice una cosa commovente, che è la ragione per la quale scrivo questo post, e che è “bene, ora voglio che tu mi faccia una foto e che tu non ti dimentichi di me”.

Io non me la sono dimenticata. E questa è la sua foto.

E questa è la morale, pensatela come se uscisse dalla sua bocca. Non è detto che tutti i rifugiati debbano passare anni ed anni nei campi. Soprattutto se appartengono a categorie particolarmente vulnerabili, o se la loro salute è a rischio.Esiste la possibilità di accedere a dei programmi di “reinsediamento” che prevedono il trasferimento dei rifugiati nei paesi occidentali che si dichiarino disponibili.

Carmela andrà probabilmente in Canada, o in Australia o, se è fortunata, negli Stati Uniti.

Mi piacerebbe per una volta che il nostro paese smettesse di essere vigliacco e provinciale e proprio l’italietta rimasta ancora a faccetta nera, e che si assumesse le sue responsabilità per quello che è accaduto ed accade in Somalia, ed ai suoi abitanti. Mi piacerebbe poter ospitare Carmela, ed offrirle un posto migliore in cui vivere.

Il mio primo giorno a Dadaab finisce con la scena di me che cammino in mezzo alle tende e vomito negli angoli circa ogni mezz’ora (con sommo divertimento delle orde di bambini che ci seguono) e penso che morirò.

Alla fine l’UNHCR si è impietosita, e mi ha mandato indietro con una scorta militare speciale anti-vomito. (Per muoversi tra i campi, c’è bisogno di andare in convogli con la scorta armata, e le scorte si muovono solo tre volte al giorno ad orari fissi, quindi in questo caso hanno dovuto appunto trovare una scorta speciale per visitatore affetto da morbo).

Tuesday, December 05, 2006

viva

questa e' una breve comunicazione da un internet caffe' a Kampala (la capitale dell'Uganda).
E' per dire che sono viva e che sto bene e che ho visto tantissime cose che non mi basteranno mesi a raccontarle tutte. (e voi siete fortunati che avro' un blog sempre molto interessante)
domani pomeriggio torno a Nairobi e da li' vi racconto.

Saturday, November 25, 2006

Il supermercato

E’ buffo come tutto quanto cessi molto presto di essere esotico e quanto ci si abitui in fretta a quello che ci circonda. Sotto un’altro punto di vista è incredibile come la routine, e la necessità che abbiamo alla routine, sia dura a morire.
Così dopo un po’ (e forse per fortuna, che non so se mi piacerebbe davvero svegliarmi tutti i giorni in un posto nuovo e strano e che non capisco..) tutto torna dopotutto “normale” e prevedibile ed abitudinario.

Prendiamo ad esempio il supermercato. Io con i supermercati ho un rapporto sociologico.
Me lo ha insegnato mio padre che quando ci portava in vacanza in luoghi più o meno esotici ci obbligava anche alla visita del supermercato locale, sostenendo che era molto più educativo che visitare la basilica. (non so quanto quest’ultima affermazione fosse dettata dalla scomodità e dalla noia del visitare basiliche, nonchè dalla fame, più che da effettivi intenti educativi).
In ogni caso io ho scoperto con gli anni che mio padre aveva ragione. Nulla è più illuminante del supermercato. Non solo sulle persone che ci circondano, ma soprattutto su noi stessi e sulle nostre abitudini.

Dopo la Standa, l’Oviesse, gli alimentari napoletani, e Tesco, ora il mio supermercato si chiama Nakumatt e vende tutte cose delle quali –la prima volta che ci sono entrata- non riuscivo assolutamente a discernere l’utilizzo...

Prima riflessione: incredibile come al giorno d’oggi la maggior parte delle funzioni d’uso siano legate non più ai nomi, ma alle marche. Ad esempio, non più detersivo, ma Dixan, non più yogurth ma Danone etc etc. Nel momento in cui Danone non è in commercio, diventa difficile riconoscere lo yogurth o il detersivo per i panni.

Seconda riflessione: l’occidentale medio (dunque me) vive in un mondo con determinati valori di riferimento che ha faticosamente costruito nel corso di una vita.
Danone è meglio di Vipiteno che però è meglio di Granarolo. Sainsbury è meglio di Tesco ma nulla è come Waitrose e via dicendo..
In questo la pubblicità a l’adverisement in generale hanno un ruolo cruciale. Ora, veniamo a qui, dove di pubblicità ce n’è pochissima, soprattutto per quando riguarda i prodotti alimentari e casalinghi in genere.

Devo dire di aver passato minuti di imbarazzo di fronte allo scaffale dei detersivi (una varietà sorprendente, tra l’altro) senza sapere quale detersivo fosse “meglio” comprare. Educata da 25 anni di pubblicità comparativa e molto spesso menzognera mi sono ritrovata a chiedermi quale –tra i detersivi- meglio si confaceva al mio stile di vita, al mio ruolo sociale etc etc...

Alla fine ho comprato un detersivo prodotto in Kenya, non di importazione, ed ho deciso che l’autoctonia era un buon criterio..

Terza riflessione: Nella maggior parte dei casi, quando si entra in un supermercato in un nuovo Paese, ma ancor di più in un nuovo continente, la prima impressione è che non ci sia niente di commestibile. Questo accade un po’ perchè –privati delle marche cui siamo abituati- non riusciamo nemmeno più a riconoscere il pane in cassetta, un po’ perchè naturalmente il cibo in vendita è funzionale ad un’altra cucina e ad altre abitudini alimentari. Ci vuole sempre un po’ a capire cosa si possa mangiare e come vada processato il cibo.Con gli anni ho imparato che nessuna delle ricette italiane che conosco è praticabile fuori dall’Europa (esclusa l’Inghilterra, che va considerata anche culinariamente fuori da Shengen), per ovvia mancanza di materie prime e per la povera qualità dei surrogati (nonchè per il fatto che –nel caso si riesca a trovare del prosciutto- esso costa come due stipendi di un maestro di scuola).

Così tutte le volte che cambio paese devo rinventarmi una cucina. In Inghilterra andava bene il genere Turco-Libanese-Siriano, qui in Kenya paradossalmente il Thai viene benissimo.Vattela a pesca come mai, ma si trovano senza problemi tutti gli ingredienti necessari per la cucina thailandese (o almeno il poco che io ne conosco).

Dunque mangio un sacco thailandese. Anzi, ancora più strano, cucino un sacco thailandese.

Se non fosse che tutti si aspettano da me che io faccia le lasagne e non i Pad Thai Noodles. Bah. Le lasagne. Come se io avessi la minima idea di come si fanno le lasagne, a tutte le latitudini.
Una proposta, ve ne prego: dopo il DOC e il DOP facciamo una normativa anche per il PLAP, Il Prodotto dalla Latitudine Protetta. Niente lasagne sotto il tredicesimo parallelo. Niente mozzarella a nord di Greenwich. Please.

Friday, November 24, 2006

reviews

From the bookshop of the Africa Centre (London, UK)

Whish list for the following weeks.
It is a pity that libraries in Nairobi are so abysmal.


Wild, Leni & Mepham, David (Eds.)

THE NEW SINOSPHERE: China in Africa
This Institute for Public Policy Research collection of essays addresses different aspects of Chinas relations with Africa, including the history and politics of the relationship, as well as China's impact on trade and investment, the management of natural resources, human rights and good governance, and peace and security.
Paperback GBP9.95

Wallis, Andrew
SILENT ACCOMPLICE: Untold Story of France's Role in the Rwandan Genocide
The massacre of 1 million Rwandan Tutsis by ethnic Hutus in 1994 has become a symbol of the international community's helplessness in the face of human rights atrocities. It is assumed that the West was well-intentioned, but ultimately ineffectual. But, as Andrew Wallis reveals in this shocking book, one country - France - was secretly providing military, financial and diplomatic support to the genocidaires all along. Based on new interviews with key players and eye-witnesses, and previously unreleased documents, Wallis'book tells a story which many have suspected, but never seen set out before. This riveting expose of the French role in one of the darkest chapters of human history will provoke furious debate, denials, and outrage. 224pp, UK. IB TAURIS.
2006 1845112474 Hardback GBP20.99

Quest’ultimo ve lo segnalo non perchè dica in realtà qualcosa di nuovo, che tutti oramai sanno che i Tutsi Rwandesi sono stati sterminati con i soldi della Francia (benchè i Francesi si ostinino ovviamente a negare.) Ma perchè da quella razza di popolo arrogante e a volte senza vergogna che non sono altro si sono messi in testa di processare Kagame (l’attuale presidente Rwandese, e quello che –di fatto- fermò il genocidio) per l’assassinio di Habiarimana.
(scusate ma non ho tempo di rifare la storia del genocidio, che è invero alquanto complicata). Dirò solo che la mia personale opinione è che la tesi non sta in piedi (leggetevi Pottier) e – se pure fosse- ma cosa diamine vogliono ancora i tribunali francesi dal Rwanda??

Vergogna.

Thursday, November 23, 2006

Out of Italy

TENETEME UNA COPIA.

Del film di Deaglio sui brogli elettorali del 10 aprile. Esce Sabato, si trova in edicola.
che certo sono sempre buoni tutti a dire io lo sapevo io lo sospettavo quella notte terribile che i conti non tornavano e tutti i grafici sembravano impazziti..
però io DAVVERO LO SOSPETTAVO.

Ukraina, Ukraina. Meno male che le cose sono andate diversamente.

Sunday, November 19, 2006

references

Qualora ci fosse qualcuno là fuori interessato un po' di più a quello che andrò a vedere, vi metto alcuni link su quello che succede a Dadaab.

UNHCR- storie di giovani rifugiati


Ninemillion.org

Danish Refugee Council programme in Dadaab

a poi volevo farvi vedere questa foto, che ritrae i designer della Nike che sono andati a Dadaab a disegnare le uniformi della squadra femminile di pallavolo del campo.
(founded by right to play)


sicurezze momentanee

Vi aggiorno su quello che a questo punto, dopo una settimana di delirio organizzativo, sono sicura di fare.

Le mamme prendano appunti, e considerino che sono in missione ufficiale per le Nazioni Unite, e che mi sono registrata sul sito dell’Unità di Crisi del Ministero degli Esteri, dunque non preoccupatevi, che perdermi non mi perdono e che ci sarà qualcuno più o meno sempre a tenermi d’occhio.. (o qualcuno con cui le mamme possono rifarsi se nessuno mi tiene d’occhio).

Allora, il 27 alle sei del mattino prendo l’aereoplanino dell’ UNHCR e volo fino a questo posto che si chiama Dadaab e che è al confine con la Somalia e che è un campo per rifugiati che ospita circa 160.000 rifugiati somali.

(il mio primo terrore: ma secondo voi quanta paura fa volare su un aereo da 11 posti??)

Lì vado a fare le interviste ai rifugiati ed alle agenzie che lavorano con loro. Sempre che non siano tutti annegati sotto l’inondazione (qui la stagione delle pioggie sta facendo davvero dei danni incredibili).

Alloggio da qualche parte che spero mi fornisca UNHCR.

Torno il 29 pomeriggio.

Il 30 mattina prendo un aereo Kenya Airways (meno paura!) per Entebbe, l’aereoporto di Kampala, in Uganda. Prendo taxi, alloggio a Kampala (dove ancora non so, ma Kampala è città grande e civile e piena di alberghi).

Il primo dicembre altro aereoplanino (e dagli!) fino a Gulu.

Sto a Gulu due giorni, poi con macchina OCHA vado a Pader il 3 dicembre, dormo a Pader nel compound di OCHA, il 4 mattina parto per Kitgum, da lì di nuovo aereoplanino fino a Kampala.

Pfiuuuuuuuuuu

Nota sulla sicurezza. La macchina ha un autista che è in contatto una volta all’ora con l’ufficio della sicurezza di Kampala. (tipo radar per le navi). Quanto al resto, voi incrociate le dita che i peace talks al momento in corso a Juba (Sudan) reggano e che si mettano d’accordo, che finchè stanno lì che chiaccherano, non mi succede nulla.

Thursday, November 16, 2006

L'undicesimo trasloco

Quello di ieri è stato l’undicesimo trasloco in otto anni. Per virtù della specializzazione ed ottimizzazione connaturata all’evoluzione della specie umana e delle sue attività, io oramai trasloco portando tre valigie.

Il che è essere diventati incredibilmente efficienti.

Solo che devo ammettere di essere un po’ stufa di essere così efficiente e mobile. Che nemmeno Mary Poppins andava in giro così tanto e con così poche valigie..

Nel frattempo tutte le cose che possiedo sono sparse in due differenti paesi europei in due differenti depositi in due differenti posti in venti diverse scatole.

Io mi sa che sarei un po’ stufa di questa ascetica rinuncia al superfluo, e sogno soffitte ingombre di cianfrusaglie intrasportabili, ed un armadio di quelli a 12 ante dove finalmente poter fare “il-cambio-di-stagione”, ricordo d’infanzia di quando non si cambiava casa ogni stagione, ma solo scomparto dell’armadio...

Friday, November 10, 2006

terroreeccitazione

Scritto così. Tutto in una parola perchè le due cose sono assolutamente mischiate insieme..

Allora, ho scoperto stamattina che tra due settimane mi mandano nei campi dei rifugiati somali nel Nord del Kenya e poi, senza passare dal via, direttamente nel Nord dell’ Uganda a fare le interviste agli sfollati che tornano a casa..

[parentesi per le mamme apprensive (e zie) and they like, in nessuno di questi posti c’è attualmente la guerra. Ci sono anche ottime probabilità che non ci sia una guerra nelle prossime tre settimane, quindi non c’è di che preoccuparsi.]

Io sono felicissima, anche perchè per fare queste due cose vinco il contratto di consulenza con le Nazioni Unite più corto che esista (10 giorni, appunto) ma sempre contratto è. Sono anche molto felice perchè è l’opportunità migliore che abbia avuto negli ultimi anni, e la possibilità di fare un sacco di esperienza..

Sono terrorizzata perchè non ho mai davvero fatto un reportage in vita mia e perchè ho guardato le foto dei campi ugandesi e mi si è ghiacciato il sangue e non so se sono capace a reggerlo.. e giuro che se vedo davvero i bambini scheletrici senza le gambe mi metto a piangere on spot (che non è per niente professional).

Sono terrorizzata perchè devo organizzare tutto in due (dico DUE) settimane, che UN paga gli aerei, ma sono io che devo decidere dove voglio atterrare. E sono così nella frenesia che invece di essere al telefono con l’UNHCR scrivo il blog..

Vabbè.

Torno al telefono.

Buon compleanno a me.

little help

Allora, questo piccolo post è per tutte le persone che mi vogliono bene ma che sono un po' distratte ( e la loro distrazione è aiutata dal fatto che io vivo in Kenya, dopotutto) per ricordargli che il mio compleanno è indeed oggi :)

Wednesday, November 08, 2006

Le cose che vorrei vedere


Le cose che vorrei vedere sono tipo questa qui.

L'ho trovata nella galleria fotografica dell'IRIN in mezzo a mille altre di bambini malnutriti scheletrici e con le mosche.. è stata scattata in un campo per sfollati nel nord dell'Uganda.

A causa del conflitto tra le forze governative e LRA (Lord's Resistance Army) il 90% della popolazione (circa due milioni di persone), in prevalenza di etnia Acholi, ha dovuto abbandonare la propria casa e rifugiarsi nei campi aperti dalle organizzazioni internazionali.

Vi lascio immaginare che la vita in un campo profughi non è il massimo dell'allegria...
Tanto tempo fa lessi un libro bellissimo di Elsa Morante che parlava appunto di questo, negli anni quaranta, in italia. (si intitola la Storia, è un masterpiece della letteratura italiana contemporanea, quindi chi non l'ha letto si senta in colpa e lo vada a comprare)
Per chi ha letto il libro invece, questa è la foto del mio Useppe ugandese.
Se ne sentiva la mancanza, credetemi, da queste parti dove non raccontiamo mai storie a lieto fine.

Tuesday, November 07, 2006

Climate Change

Tempo di frenesia ed agitazione quassù sulla collina delle Nazioni Unite, altrimenti sempre silente e pacifica e perfettina.

C’è persino traffico. Anzi, altro che traffico, c’è proprio l’ingorgo costante ostinato tipo il lungotevere il sabato sera...

Fatto è che ci sono improvvisamente sbarcati i 6000 (sì, seimila) delegati della conferenza internazionale sul Climate Change. Quella che in teoria dovrebbe cercare di aggiustare gli sfacelli del Protocollo di Kyoto, e vedere di trovare un modo in cui i paesi più poveri (che già c’hanno i loro problemi) non abbiano anche le alluvioni, i tornadi, la siccità, la desertificazione da affrontare.

Ok, questo ce l’hanno già, perchè come al solito sono tutti arrivati un po’ tardi, e ci sono volute almeno tre quattro estati infernali ed autunni tiepidini seguiti da inverni gelidi ed inondazioni primaverili su scala planetaria per convincere la comunità internazionale che OK, climate change is happening, after all.

E ci sono davvero buone possibilità che stavolta siamo stati noi a causarlo.

Anyway, la Conferenza dura 10 giorni, vengono Kofi Annan ed Al Gore (prometto che mi apposto tipo fan-di-madonna e mi faccio fare la foto con Kofi Annan ;) ) e sembrerebbe anche –da voci di corridoio- che perfino gli americani collaboreranno (sono in 60, for god’s sake!)

Tra le cose davvero degne di nota, il ricevimento di apertura ieri sera, in pura grandeur UN, con un numero impossibile di invitati ed altrettanta quantità di cibo ed alcohol.

In realtà la cosa davvero divertente di questo genere di cene è vedere il fantastico mix delle donne Masai (in rappresentanza dei popoli indigeni) ballare con la delegazione diplomatica giapponese in distintissimo tailleur e completo blu.

Prometto però che da domani faccio la seria e provo ad andarmi a sentire un paio di interventi.

Ah, le foto di ieri sera sono sul blog Foto-DI-Me (link qui o sulla colonna a destra)

Friday, November 03, 2006

annunci

Due brevi righe per comunicarvi che –finalmente- il collettivo di Autistici ha dato alla luce il nuovo atteso (rullo di tamburi) NOBLOG Project.

In pratica l’ennesimo portale per aprirvi un blog, (eh, evviva l’originalità) però con tutta un’altra etica (che si desume, suppongo, dalla grafica accattivante e alternativa). A parte gli scherzi, in realtà è una cosa seria e meritevole, se non altro perchè vi permette di pubblicare tutto quello che vi pare senza temere censura o chiusura improvvisa e ingiustificata del vostro blog..

Dalle stesse parole degli autori, che sono fantastici con i computer, un po’ meno con l’italiano, apprendiamo infatti che il tutto nasce dal “desiderio di offrire un'ulteriore possibilità di costruire trame di energie spontanee e autorganizzate.”

Il che è tanto un bene. Però mi viene da aggiungere che sarebbe stato davvero bello riuscire a farlo anche in Cinese, Farsi e perchè no Tigrino...

In Iran aprire un blog pare sia diventato il nuovo sport nazionale: l’entrata nella blogosfera dell’attuale presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad con il blog http://www.ahmadinejad.ir/ è una specie di atto dovuto se si considera che ci sono circa 700.000 blog aperti da Iraniani in rete.. Moltissimi sono scritti in Farsi, e la maggior parte sono stati aperti da giovani iraniani che non hanno altro mezzo di far circolare le proprie idee, dato che , per usare l’eufemismo usato da quelli di wikipidia, il governo iraniano “tende a scoraggiare la libertà di espressione”...

Ugualmente “scoraggiata” è la stessa libertà in Cina e ahimè, in Eritrea (patria di quelli che parlano il tigrino) che è di nuovo arrivata praticamente ultima nel Press Freedom Index pubblicato da Reporters Without Borders.

Insomma, noi abitanti del mondo della “tollerata” libertà di espressione, siamo felici di avere un nuovo blog “resistente”.

Speriamo, in futuro, di poter offrire la stessa opportunità alle energie molto più spontanee (nonchè a volte disperate) e un po’ disorganizzate di altri paesi del mondo.